Immagini Recluse

domenica 29 gennaio 2012

A Edmundo Jacinto Aquize Leon

Tiempo Recluido
Mascando horas,
fraccionando espacios
buscando oscuras claridades,
sufres, tomas y amas.
Gozas de la vida pero no de lo
que tu corazòn anhela.
Laten tus sentidos 
a ritmo del dolor.

Quanti di voi hanno mai immaginato  la Reclusione?
Quanti hanno sgranato gli occhi nel buio in preda all’incubo di vivere chiusi dentro un recinto di sbarre?
Io l’altro giorno ho provato ad immaginare, viceversa, i passi che ti portano a superare le sbarre e recuperare la libertà negata dopo tanti anni…e ho pianto.

Ho immaginato di ricevere la notizia della ”libertà” in 24 ore, ho sentito su di me gli sguardi dei compañeros, la gioia “triste” degli amici, i bisbigli di una coppia di disperati, logori e rinsecchiti, i loro commenti mentre si passano una pipa di pasta-base nascosti in un angolo buio: “Quel figlio di un cane esce”. Ho raggiunto il dormitorio dei “senza sezione” , che pena, mi rendo conto proprio ora che ho dormito per anni tra i rinnegati dei rinnegati…meglio così, almeno non ho dovuto sottostare alle prepotenze e alle violenze dei delegati di Sezione e dei loro scagnozzi. 
Il tempo si ferma mentre salgo la scalinata scassata del dormitorio, ogni scalino e lungo anni della mia vita, una vita passata per lo più tra queste mura fradicie di umidità dove non sono mai stato in silenzio, ho sempre fatto “domande” e questo, forse, ha rinchiuso la mia vita nella frustrazione delle risposte e nella violenza del potere che mi ha sbattuto dentro. Mi ricordo gli anni dell’adolescenza, passata dal fruttivendolo libanese di Buenos Aires che proprio per la mia curiosità sfacciata, mi chiamava Patchouli, come l’essenza araba che ha la capacità di insinuarsi dappertutto. 

Ho aperto la “borsa buona”, quella dove custodisco gelosamente i ricordi della mia vita, il mio libro di poesie, un cd di musica, i miei appunti, una foto. Dentro ci sono anche i vestiti che aspettavo di mettere da mesi, lavati e ben riposti per salutare con dignità questa fogna che chiamano carcere. A vivere, così come a morire, ci si va come Dio comanda, sarà per questo che in tutti quei film sulle carceri, chi sta per uscire si rade per bene, si doccia e si mette i vestiti buoni, penso…..mentre con tutta la calma possibile eseguo un certosino contropelo sul mio viso. Non posso fare a meno di sogghignare e quasi mi sgozzo, pensando che, nei film americani, per i criminali c’è sempre una bella stangona con mini e tacchi da capogiro che aspetta dall’altra parte, mentre stasera farò una bella entrata (o meglio uscita) nella Plaza San Pedro, completamente vuota e silenziosa…. 

Di solito le ultime ore prima di eventi della mia vita sono sempre state lunghissime, ma perso nei mei pensieri, non mi accorgo che il megafono, o chi dietro di lui, sta chiamando il mio nome! Raggiungo il patio centrale trascinando le mie cose raffazzonate alla buona, c’è un folto gruppo di amici, che sfidando l’oscurità del Penale di questa bagnata sera di Gennaio, mi aspettano per regalarmi un ultimo abbraccio da “recluso”. Felicità e paura iniziano una strana danza dentro la testa, fino al cuore, che batte per sfondare la cassa toracica, come a cercare anche lui la sua libertà….la libertà, un pezzo di carta, una pacca sulla spalla del tenente alla porta e un desiderio che riempie il silenzio e il vuoto di quella maledetta piazza: vivere

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